Nella Francia del Trecento, si celebra un processo per stupro che vede scontrarsi due antichi compagni di armi.
Nella Francia del Trecento, si celebra un processo per stupro che vede scontrarsi due antichi compagni di armi.
Tratto dall'omonimo romanzo del 2004 di Eric Jager, a sua volta ispirato a vicende storicamente accertate, The Last Duel è un sontuoso dramma storico il cui modello di riferimento principale si può rintracciare in Rashomon (1950) di Akira Kurosawa. Entrambi di ambientazione medievale e incentrati su un fatto di stupro, i due film usano la medesima tecnica di ripetizione della vicenda da molteplici punti di vista, decostruendone la verità e giocando con lo spettatore sull'affidabilità dei personaggi. Il risultato, nel film in questione, è una storia relativamente semplice che però riesce a mantenere alto il ritmo narrativo, malgrado le due ore e mezza di durata. Più che semplice racconto storico o parabola protofemmimista (aspetti comunque pervasivi nella trama), The Last Duel è un racconto sulla facilità della menzogna e sulla labilità dei concetti di vero e falso.
La sceneggiatura, scritta da Ben Affleck, Matt Damon e Nicole Holofcener, ha proprio nella ripetizione dei fatti, con minime quanto significative variazioni, il suo maggiore punto di forza. La gestione dell'intreccio si incastra perfettamente con la precisione cronologica, con un occhio alla documentazione storica da un lato e alla graduale costruzione psicologica dall'altro. I personaggi principali e secondari sono ben delineati, con una nota di particolare originalità per il ruolo di Marguerite, lontana da certi stereotipi cinematografici sulla femminilità del Medioevo e portorio per questo efficace. Il lato forse più debole della scrittura, in realtà, sta proprio nell'evidente e abissale distanza fra una protagonista femminile forte e due comprimari maschili, ciascuno a suo modo, così negativi da risultare talvolta comici: quando si arriva alla narrazione di Marguerite, è già chiaro come la sua versione sia quella più aderente alla verità, perdendo quindi parte dell'affascinante ambiguità di fondo.
Molto buoni, infine, i dialoghi che ricalcano il gergo cavalleresco senza risultare artificiosi.
Ridley Scott (Blade Runner, 1982; Il Gladiatore, 2000) dirige il film con rara maestria, coniugando la componente epica con le sequenze più intime e risultando credibile anche negli aspetti tensionali propri del moderno cinema giudiziario. The Last Duel è un film più intellettuale che di azione, eppure la scena finale del duello, che da cavalleresco diventa corpo a corpo, riesce a essere spettacolare. Ogni inquadratura è un dipinto (si pensi agli interni con penombra illuminati dalla luce del camino o alla silhouette dell'araldo che annuncia il ritorno di Jean al castello) e il merito va alla fotografia di Dariusz Wolski (Il corvo, 1994), forse troppo cura nei momenti più leggeri ma efficace nella resa ambientale ed emotiva della storia.
La ricostruzione storica, si diceva, rinuncia a molti dei classici stereotipi sul medioevo cinematografico e risulta accurata nei costumi di Janty Yates, premio Oscar 2001 per Il Gladiatore, così come nelle musiche di Harry Gregson-Williams (Shrek, 2001). Perfette anche le scenografie di Arthur Max (American Gangster, 2007), il cui occhio attento non trascura nemmeno i dettagli nella resa di una Parigi medievale con Notre Dame ancora in costruzione. A impreziosire il film, inoltre, sono le interpretazioni di tutto il cast: Matt Damon e Adam Driver, impegnati in un vero duello di bravura, riescono a impersonare rispettivamente un violento e rozzo uomo di guerra e un astuto quanto ambiguo e lascivo scudiero. A vincere entrambi è però Jodie Comer, che con la sua espressività incarna del personaggio tutte le contraddizioni della femminilità medievale, risultando antico e contemporaneo allo stesso tempo. Degni di menzione anche Ben Affleck in un ruolo luciferino e il giovane Alex Lawther in quello, quasi macchiettistico, di un re immaturo e inconsapevolmente sadico.
The Last Duel, con i mezzi della produzione hollywoodiana, è un kolossal colto ed efficace, forse appesantito dalla perentorietà del messaggio ma perfettamente in grado di condurre una riflessione senza mai rinunciare all'intrattenimento.
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