Fine ‘800, due uomini lavorano come guardiani di un faro in una remota isola del New England.
Fine ‘800, due uomini lavorano come guardiani di un faro in una remota isola del New England.
The Lighthouse, secondo lungometraggio di Robert Eggers (The VVitch, 2016), conferma nuovamente, ma a un livello più elevato, molti degli stilemi stilistici narrativi da lui impiegati: le ambientazioni e il cast estremamente minimali, i numerosissimi miti e rimandi letterari cui si fa riferimento e infine una cura fotografica maniacale. Con il precedente The VVitch il regista aveva deciso di soffermarsi non sugli eventi in sé, ma sugli effetti che questi esercitavano sulla psiche umana. Allo stesso modo,
la pellicola corrente analizza dettagliatamente le conseguenze di una lunga convivenza a cui i due uomini protagonisti sono costretti a sottoporsi, rivelando nel corso di tutto il film diversi stati psicologici propri dell'essere uomo, come la follia o la schizofrenia dovuta all'isolamento.
Il soggetto però risulta spesso confuso, la mole di allegorie appare sterile senza una reale evoluzione narrativa. Altri registi negli ultimi anni (Denis Villeneuve con l'alter ego in Enemy, o Jordan Peele con il doppio in Noi, per esempio) hanno scelto di esaminare una determinata metafora e rappresentarla su schermo, restando però ancorati a un contesto sempre concreto, senza cadere in un eccessivo surrealismo che non fa che privare il film di uno scheletro ben definito.
Nonostante tutto questo però, la sceneggiatura è assai positiva: i dialoghi, grazie all'uso filologico della lingua, sono affascinanti e potenti e le scelte di scena azzeccatissime. Inoltre, l'utilizzo dell'iconografia marinaresca (sirene, gabbiani, Poseidone…) aiuta il palesarsi e l'amalgama dei caratteri orrorifici della pellicola, altrimenti fine a sé stessi.
La regia, componente significativamente migliore, è studiata per consolidare lo stato d'arte proposto e per arricchire le scene con numerosi brevi primi/medio piani sequenza, che conferiscono alle interpretazioni dei due protagonisti maggior prestigio e veridicità. La fotografia, nuovamente nelle mani di Jarin Blaschke (Fray, 2012; The VVitch, 2016), è eccellente: l'uso del 35mm a rapporto 1.19:1 accentua la ristrettezza psicologica dei personaggi e degli ambienti e, la scelta del bianco e nero coopera per rendere la luce fortemente intradiegetica, che illumina con forti contrasti sia dai lati che frontalmente, come vuole la scuola espressionista di Friedrich Wilhelm Murnau (Aurora, 1927; I quattro diavoli, 1928), cui Eggers fa massimo riferimento. Il cast, ridotto al minimo, comprende il futuro uomo pipistrello Robert Pattinson (Cosmopolis, 2012; Tenet, 2020) e Willem Dafoe (L'ultima tentazione di Cristo, 1988; Grand Budapest Hotel, 2014), e le loro interpretazioni, naturali e pomposamente teatrali, sono incredibilmente di alto livello. Il primo, nei panni di un neo Prometeo con un forte desiderio di attingere al potere della luce del faro, e il secondo nel ruolo di un vero e proprio Proteo, anziano sapiente figlio del mare.
Tuttavia, nell'opera di Eggers si avvertono due forti difetti tecnici: il sonoro ed il montaggio sonoro. La spazializzazione è completamente assente, ogni suono sembra provenire dal centro dell'immagine, elemento derivato chiaramente dall'uso troppo rigido dell'audio in mono, e da fonti di suoni campionati senza aggiunta di ambiente. La ricorrenza del suono del faro inizialmente appare intrigante, poi però viene ripetuta sinteticamente nel corso di tutto il film, senza minime variazioni, vanificandone così il suo impiego.
In definitiva The Lighthouse si presenta come un horror psicologico estremamente cinefilo e autoriale, cinematograficamente eccellente, che dimostra ancora una volta la maestra registica di Robert Eggers, con la fiducia che possa risolvere, da qui ai suoi prossimi lavori, quei pochi difetti ancora intrisi nella sua filmografia.
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