In un mondo distopico, chi non trova un partner entro 45 giorni viene trasformato in un animale a sua scelta.
In un mondo distopico, chi non trova un partner entro 45 giorni viene trasformato in un animale a sua scelta.
Il quinto lungometraggio diretto da Yorgos Lanthimos (Il Sacrificio del Cervo Sacro, 2017; La Favorita, 2018), vincitore del Premio della Giuria a Cannes 2015, propone una riflessione criptica e disturbante sull'amore e il pesante conflitto tra stringenti convenzioni sociali e represse libertà individuali. Sin dalle prime scene si intuisce che il protagonista vive in un contesto distopico, all'interno del quale viene immediatamente catapultato lo spettatore, dapprima perplesso e disorientato, ma poi via via sempre più affascinato dall'agghiacciante naturalezza con cui i personaggi si interfacciano tra loro, nell'ambito di una società alienata e in totale crisi di umanità .
La sceneggiatura (che ha ottenuto una candidatura ai premi Oscar del 2017) è chiaramente divisa in due parti, accomunate tuttavia dal medesimo senso di disagio vissuto dal protagonista: in un primo momento, questi si vede costretto a reprimere il suo desiderio di solitudine per rispettare le regole dell'albergo, che gli impongono di trovare una compagna; invece nella seconda parte (narrativamente più debole della prima), quando può finalmente stare da solo ed è tenuto a non unirsi a nessuno, finisce con l'innamorarsi di una donna a lui affine. Già da questo singolo paradosso è possibile cogliere tutta la potenza semantica del film in esame, che delinea una società fredda ed estremista, volta alla totale negazione dell'individuo, le cui libertà vengono costantemente sacrificate in favore di un ordine pubblico superiore. Ad impreziosire il messaggio di fondo è inoltre il ricorso all'allegoria dell'animale. Ogni personaggio della pellicola, infatti, finisce per essere tale: sia chi, non riuscendo a trovare un partner nel tempo stabilito, è costretto coattivamente a trasformarvisi, sia chi, adeguandosi ai rigorosi dettami sociali, finisce comunque per perdere qualsivoglia traccia di umanità , diventando un vero e proprio automa. Potentissimo in tal senso il finale, aperto solo all'apparenza. La decisione di David, infatti, è del tutto irrilevante: nel caso in cui si privasse della vista, diventerebbe uno schiavo della società , adeguandosi ai dettami che aveva fino a quel momento tentato di combattere, perdendo così lo status di essere umano e la conseguente capacità di amare; se decidesse invece di restare un vedente, verrebbe lasciato dalla sua donna, restando comunque senza amore. Per dirla tra il serio e il faceto, a prescindere da come la si veda, egli è in un vicolo cieco.
A veicolare in modo incredibilmente funzionale il messaggio sin qui delineato è una regia pulita, che predilige la simmetria e la staticità dei movimenti di macchina, senza eccedere in futili virtuosismi.
Coerenti con la semantica del film sono anche la scenografia, allo stesso tempo asettica e austera, e una fotografia per lo più spenta, che esalta le poche luci naturali. Conturbanti risultano infine sia le musiche, dai toni mestamente sinistri, sia le interpretazioni del cast, su cui spiccano Colin Farrell, Olivia Colman e Rachel Weisz, autori di performance degne del loro nome. Non convincono del tutto invece gli altri interpreti, fatta eccezione per Ariane Labed (attrice francese moglie del regista) e Angeliki Papoulia, già presente nei precedenti lungometraggi di Lanthimos Kynodontas (2009) e Alps (2011).
Per tutti questi motivi The Lobster può essere considerato tra i film più riusciti del regista greco, soprattutto per la sua rara capacità di straniare costantemente lo spettatore: questi non fa in tempo ad abituarsi al distopico contesto in cui viene proiettato, che è costretto a fare i conti con il fatto che esso sia pericolosamente vicino alla realtà che lo circonda. Infatti, ciò che più di ogni altra cosa finisce per inquietare, è che la gretta società rappresentata dal film, prescindendo da un simbolismo inevitabilmente estremo, risulta incredibilmente vicina alla nostra.
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