Un ragazzino paralitico, orfano di padre, vive segregato in una fatiscente villa isolata dal mondo. I misteriosi piani che la madre ha in mente per lui saranno sconvolti dall'arrivo di una giovane ospite inattesa.
Un ragazzino paralitico, orfano di padre, vive segregato in una fatiscente villa isolata dal mondo. I misteriosi piani che la madre ha in mente per lui saranno sconvolti dall'arrivo di una giovane ospite inattesa.
Nell'ultimo anno si sta assistendo a una rivalutazione in chiave autoriale del genere horror: oltre a Noi (Jordan Peele), è opportuno citare il recentissimo Midsommar – Il Villaggio dei Dannati (Ari Aster), che declina, come curiosamente in The nest, la tematica della famiglia e il suo ambiguo valore di luogo protettivo/carcere. È infatti il nucleo familiare, concretizzato nell'architettura della villa, il nido cui il titolo fa riferimento.
Se all'inizio il riferimento concettuale sembra essere quello anti-borghese alla Luis Buñuel, per cui il fascino discreto e decadente della classe dirigente nasconde inquietudini ed efferatezze, il film vira poi decisamente verso il modello del romanzo di formazione atipico: succube di una madre-Medea e della propria costrizione fisica, oltre che ambientale, il giovane protagonista conosce in Denise l'Altro da sé, che gli consente di affacciarsi a un mondo sconosciuto. Mondo, e qui subentra il terzo filone tematico, assolutamente ostile e mostruoso:
la paura di ciò che sta al di là delle mura, oltre che efficace colpo di scena che ribalta il ruolo della madre e della stessa villa, può rappresentare sia la difficoltà che l'individuo incontra nel processo di crescita, sia una più attuale riflessione sulla paura del diverso o sugli effetti distopici di una possibile catastrofe ecologica.
Impossibile non pensare al padrino di tutta la cinematografia a tema zombie, La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero: qui come in The nest, infatti, si ritrova la contrapposizione fra esterno ed interno, e le reazioni dell'uomo di fronte al pericolo. La causa dell'epidemia che ha colpito il pianeta non viene spiegata, a interessare sono le dinamiche di sopravvivenza sviluppatesi a seguito della catastrofe.
Ultima nota di contesto, il film è saltato agli onori della cronaca in quanto horror di produzione italiana: un genere spesso a torto poco associato alla cinematografia del nostro paese, che però ha avuto in passato i propri Dario Argento (Suspiria, 1972) e Pupi Avati (di cui è prossima l'uscita de Il Signor Diavolo nelle sale). En passant, si ricordi che uno dei più recenti horror d'autore, quel controverso Suspiria prodotto da Amazon, rechi la firma dell'italiano Luca Guadagnino.
L'esordiente regista Roberto de Feo, anche autore di soggetto e sceneggiatura assieme a Margherita Ferri e Roberto Besana, propone al pubblico un film che definire semplicemente horror è riduttivo: la scrittura dà il proprio meglio infatti soprattutto nella prima parte, quando più che l'orrore e l'inspiegabile regnano la suspense e le tensioni fra i desideri dei personaggi. Il tutto si gioca sul filo di un'ambiguità di caratteri e intenti che, una volta disvelati, perdono leggermente di efficacia senza però inficiare quello che resta un piccolo gioiello per questa stagione cinematografica estiva.
La regia segue lo storytelling nei tempi dilatati e nella costruzione delle dinamiche psicologiche, godendo con eleganza della magnifica quanto lugubre location di Villa dei Laghi in Piemonte. Vi sono tuttavia alcune sequenze che rompono la sobrietà complessiva: le distorsioni spaziali e focali della scena del compleanno di Samuel, particolarmente d'impatto; l'incubo anticipatore di Denise e i grandangoli che seguono Samuel nelle stanze della residenza, forse a volte forzati; la surreale scena dell'elettroshock accompagnata da musica classica, un piccolo e sadico esercizio di stile che guarda allo Stanley Kubrick di Arancia meccanica (1971) e consente un attimo di follia all'altrimenti agghiacciante interpretazione di Maurizio Lombardi.
Gli attori sono infatti un altro punto di forza del film. Supportati da una sceneggiatura, come si è detto, attenta alle sfumature interiori, gli interpreti sembrano scelti con oculatezza. In particolare, oltre a Lombardi, si segnala Francesca Cavallin che sa rendere la straziante vicenda e i dilemmi della madre, figura che opprime il figlio ma lo fa come disperato tentativo di proteggerlo.
La storia della psichiatria ha scritto intere pagine che potrebbero fungere da interpretazione, noi ci limitiamo ad affermare che, proprio in un periodo felice per il genere horror, è notevole la capacità di saper trattare in maniera efficace tematiche non certo nuove.
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