Un gruppo di immortali, da sempre impegnati per la lotta a favore dell'umanità, fronteggia un sadico miliardario intenzionato a carpirne i poteri.
Un gruppo di immortali, da sempre impegnati per la lotta a favore dell'umanità, fronteggia un sadico miliardario intenzionato a carpirne i poteri.
Rinnovare la grammatica del genere supereroistico è una strada da percorrere sempre più interessante nel panorama cinematografico attuale. Avengers – Endgame (2019), se da un lato rappresenta attualmente il maggiore incasso nella storia del cinema, dall'altro ha mostrato tutti i difetti che un film di questo tipo può avere.
Pochi mesi dopo, Joker ha saputo unire qualità autoriale e capacità di comunicare a un pubblico ampio e vario: tuttavia, solo forzatamente rientra nella categoria dei cinecomics. Un interessante esperimento, geograficamente circoscritto, era stato condotto nel 2015 con Lo chiamavano Jeeg Robot, una sorta di “spaghetti superhero” giocato sul filo dell'ironia amara. Se si escludono i prodotti high-quality di Christopher Nolan e Guillermo del Toro e quelli esplicitamente parodistici quali il riuscito Deadpool (2016), il rischio dei film del genere è quello di ricadere in luoghi scontati, ripetersi o adattarsi maldestramente a tematiche urgenti.
È questo il caso, purtroppo, di The old guard, distribuito da Netflix e tratto dal primo volume dell'omonima serie di Greg Rucka e Leandro Fernandez. La speranza di trovarvi una narrazione più complessa e riflessiva e un taglio meno mostrativo era stata rafforzata, per lo spettatore italiano in particolare, dalla presenza di Luca Marinelli, ultima coppa Volpi per Martin Eden, e dalla bella locandina retrò disegnata dal maestro del fumetto nostrano Milo Manara. Si può anzi dire che nei primi minuti di film sembra davvero di assistere a qualcosa di diverso, con il flash-forward di primo piano su Charlize Theron e il suo monologo introduttivo di intento filosofico.
Tutto ciò che ne segue, però, risulta perlopiù scontato e deludente. Il problema maggiore risiede nella sceneggiatura, dello stesso Rucka: gli snodi narrativi, i plot-twist (parziali, per giunta) e le parabole dei personaggi sono piuttosto affrettate e confuse. Se nel soggetto le motivazioni chiave, che ruotano attorno ai privilegi e alla condanna dell'immortalità, sembravano perlomeno validi, nel corso della storia appaiono depotenziate da troppa carne messa al fuoco. Anche le relazioni interpersonali fra protagonisti sono così flebili da apparire assenti, quando non si rifanno esplicitamente alle classiche dinamiche da squadra di supereroi.
Si aggiunga che la storia si riparte in linee narrative che non vengono chiuse unicamente per lasciare adito ad almeno un sequel, peraltro annunciato pochi giorni dopo il rilascio del film. Il modo in cui viene inserito il cliffhanger finale, che vede coinvolto un personaggio appena menzionato in precedenza, risulta estremamente fastidioso: fa di The old guard un prodotto non autosufficiente e nemmeno in grado di incuriosire su eventuali sviluppi.
Si fosse trattato del pilot di una qualsiasi serie senza troppe pretese, e non di un film, avrebbe destato meno perplessità.
Ciò vale anche per la regia, di Gina Prince-Bythewood (Love & basketball, 2000; La vita segreta delle api, 2008): più che discreta nelle scene d'azione, altalenante nelle altre sequenze. Meglio, decisamente, la fotografia di Tami Reiker e Barry Ackroyd (candidata Oscar 2008 per The hurt locker), capace di coniugare fantascienza e realismo offrendo, stavolta sì, un visivo innovativo per il genere.
Quanto alle interpretazioni, bisogna notare come Charlize Theron, assieme ai comprimari, riesca a offrire una prova più che convincente a fronte di personaggi dalla scrittura infelice. Sorte, quest'ultima, occorsa in particolare all'antagonista, insipido su copione e fastidioso nella resa. The old guard, in definitiva, resta un film mediocre che ricade negli stessi stereotipi che vorrebbe combattere e a cui non basta una buona idea iniziale e alcuni particolari discreti a risollevarsi.
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