Il film segue le avventure di Mark Renton, un giovane tossicodipendente e dei suoi amici, nella Scozia di fine millennio.
Il film segue le avventure di Mark Renton, un giovane tossicodipendente e dei suoi amici, nella Scozia di fine millennio.
Tratto dall'omonimo romanzo di Irvine Welsh, Trainspotting è il secondo lungometraggio dell'oggi veterano Danny Boyle (The Beach, 2000; The Millionaire, 2008).
La poca esperienza di Boyle, unita al suo spiccato talento, regala un perfetto esempio di regia barocca che ricorda tanto Quentin Tarantino (Pulp Fiction, 1994; Kill Bill: volume 1, 2003) nei suoi primi lavori.
Ancora ben lontano dal perfezionare la sua impronta artistica, la regia acerba e caotica di Boyle funziona molto nelle scene più iconiche come il monologo iniziale, la rissa del bar e la scena dell'overdose di Renton, melodiosamente accompagnata da Perfect Day di Lou Reed, ma un po' meno nelle scene di mera narrazione, che diventano di conseguenza dimenticabili.
Stesso discorso si potrebbe applicare alla fotografia che raggiunge il suo apice nelle scene sopra citate, ma che sfuma nell'accademico durante il resto della pellicola.
La sceneggiatura, a opera di John Hodge, storico collaboratore di Boyle, si lavora molto su lunghi dialoghi (e monologhi) incentrati su un aspetto molto filosofico e idealista, che si contrappone invece all'impronta regista non lineare, ironica e spigliata.
«Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando hai l'eroina?» Il monologo interiore di Renton, nella scena d'apertura in cui lui e i suoi amici corrono e fuggono veloci per le strade di Edimburgo, può al meglio rappresentare questa forte contrapposizione tra una dinamica visiva e una profondità quasi presuntuosa delle battute.
Le scelte dei protagonisti vengono rappresentate senza anteporre un giudizio o una condanna, aggiungendo un certo realismo ai loro stati d'animo. L'eroina, la droga in generale, quelli che Baudelaire definiva “paradisi artificiali”, ricoprono un ruolo importante nel film, ma comunque non essenziale. Fatta eccezione per Tommy, l'uso di eroina non incide eccessivamente nelle azioni dei protagonisti, al punto che sia Renton che Sick Boy riescono a disintossicarsi più volte durante il film. È dunque opportuno pensare a Trainspotting non a un film sulla droga, ma piuttosto a un film con della droga. I protagonisti indiscussi rimangono quindi questi ragazzi, persi nella loro grande città; portati sul grande schermo da un ottimo cast, che regala delle performance iconiche, che rimarranno ancora a lungo impressi nella memoria. I personaggi rappresentano anche il punto più alto della sceneggiatura: la caratterizzazione è ottima, cruda, realista e grottesca.
Dagli Underworld al pluricitato Iggy Pop, passando per Lou Reed, le musiche usate in Trainspotting risultano fortemente evocative e rappresentano appieno quella generazione, oramai lontana, degli anni ‘80'90, testimone di un'epoca di cambiamenti, e in particolare nel film, una generazione che tenta di opporsi a quel perbenismo artificiale nato durante il governo Thatcher.
Il contesto sociale è molto importante per comprendere appieno l'idea dietro al film, una denuncia, una sbirciata a una generazione sputata e alienata, che cerca in ogni modo di scappare da qualsiasi convenzione che grava su di loro. Ma il protagonista di questa storia, Renton, non ne esce vincitore dalla lotta contro la società, ne esce abbattuto e sconfitto, perché malgrado sorrida con il bottino, corre via lontano per cercare quella vita “normale” che tanto disprezzava.
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