A Parigi, un albergatore americano di mezza età incontra una giovane ragazza con la quale instaura una relazione esclusivamente sessuale, senza il bisogno di condividere altro.
A Parigi, un albergatore americano di mezza età incontra una giovane ragazza con la quale instaura una relazione esclusivamente sessuale, senza il bisogno di condividere altro.
Condannato al rogo dalla Cassazione a quattro anni dalla sua uscita, e riabilitato soltanto nel 1987, ben undici anni dopo, Ultimo tango a Parigi è l'opera più discussa di Bernardo Bertolucci (Novecento, 1976; L'ultimo imperatore, 1987), prima censurata, e successivamente acclamata come uno delle migliori pellicole erotiche di sempre. Il forte impatto emotivo causato dalle numerose scene carnali (la scena del burro in modo particolare) diede modo alla censura di avviare una procedura penale contro il film, che sfociò difatti nella condanna momentanea di quest'ultimo. Tutto ciò permise all'opera di rientrare tra i maggiori incassi cinematografici italiani di sempre, ancora oggi.
A prescindere dalle sequenze ritenute più scandalose, Ultimo tango a Parigi riassume con schietta sincerità un periodo storico preciso, cogliendo un certo spirito del tempo: la decadenza di una società, l'auto deflagrazione e la morte/il sesso come unica via. Temi che il regista emiliano riproporrà nuovamente nel più recente The Dreamers – I sognatori (2003).
Il film riesce ottimamente a sdoganare qualsiasi tabù erotico, rendendolo verosimile, alla portata dello spettatore. Per far ciò, Bertolucci fa uso delle molte caratteristiche della Nouvelle Vague (che esige realismo, soprattutto scenografico) per creare il contesto ideale in cui calare il suo sogno erotico, reso in questo modo più credibile e accessibile al pubblico.
La realizzazione del film non è più a scopo d'intrattenimento universale, ma come espressione privata del regista, che, distaccandosi dall'impersonalità del cinema allora contemporaneo, indaga la vera anima delle cose.
L'influenza francese nello stile della sceneggiatura, tra tutti sicuramente Jean-Luc Godard (Fino all'ultimo respiro, 1960; Prenom Carnem, 1987), sospesa fra dramma storico, vicenda da interno privato e non risolutezza filosofica, permette a Bertolucci di raccontare una storia tanto semplice quanto drammatica, con dialoghi potenti e messa in scena che, seppur si perda più volte nella sua metafora di fondo, veicola con efficacia il messaggio proposto.
L'eccessivo senso di spleen, e la graduale concretezza di un male fisico e psicologico che il protagonista Paul (Marlon Brando), e non solo, prova nel corso dell'opera, richiama con forse troppa frequenza quel disagio esistenziale con il quale Charles Baudelaire è diventato noto al pubblico. Citando lo scrittore francese, “per non sentire l'orribile fardello del Tempo” a cui Paul è inconsapevolmente legato “dovete ubriacarvi senza tregua”; e così farà, in quel locale di tango, disperato, alla ricerca continua di un qualcosa, che non potrà essere altro che la morte.
Tecnicamente la pellicola è eccezionale. La regia lenta ed espressiva di Bertolucci si amalgama perfettamente al soggetto di fondo, valorizzata da un montaggio particolarmente valido, talvolta volutamente disorientante (come nella scena iniziale dell'uscita dal bagno), ideale per la costruzione drammatica di un'atmosfera passionale e inquieta. La fotografia di Vittorio Storaro (Apocalypse Now, 1979; Café Society, 2016) gioca abilmente con luci e ombre, ora mostrando, ora nascondendo i due protagonisti agli occhi curiosi dello spettatore e riuscendo così ad incrementare l'erotismo di fondo della pellicola. In questo senso azzeccata, seppur numerosamente utilizzata altrove, la colonna sonora del maestro Gato Barbieri (Appunti per un'Orestiade africana, 1969), a metà tra un jazz sospeso e una rivisitazione malinconica dei ritmi del tango, che accentua maggiormente la drammaticità erotica del film.
Interpretazione mastodontica per Marlon Brando (Fronte del porto, 1954; Il padrino, 1972), capace di personificare ampiamente il suo stesso malessere interiore. Non vale lo stesso per le restanti figure attoriali: Maria Schneider (Professione: reporter, 1975; Cercasi Gesù, 1982) sottotono rispetto alla performance del suo amante, e un Jean-Pierre Léaud (I 400 Colpi, 1959; Il maschio e la femmina, 1966), a causa soprattutto del personaggio interpretato, eccessivamente caricaturale, che esaspera la tematica meta-cinematografica, appesantendo enormemente la pellicola e guastando la magia onirico-realistica di fondo.
Dietro la persona di Bernardo Bertolucci viene costruito questo splendido film: un'opera discussa a lungo, che ancora oggi si dimostra particolarmente attuale nelle tematiche trattate. E indipendentemente dal suo essere provocatorio, Ultimo tango a Parigi, a distanza di quasi 50 anni dalla sua uscita, si riconferma il classico cult erotico per il quale ognuno si sentirà emotivamente coinvolto, e che ha contribuito attivamente (a suo tempo) al rilancio di un cinema italiano che mancava da molto tempo.
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