Il ritrovamento di un orecchio nel prato di un paesino di provincia americano conduce uno studente in una spirale di intrighi, violenza e perversione.
Il ritrovamento di un orecchio nel prato di un paesino di provincia americano conduce uno studente in una spirale di intrighi, violenza e perversione.
Troppo spesso, del regista e sceneggiatore David Lynch, si legge che il suo gusto per la complessità e gli elementi disturbanti vada a scapito della fruizione dei film stessi. Un luogo comune, quest'ultimo, che corrisponde a un alzare le mani di fronte all'effettivo enigma di certe sue trame. Eppure la chiave di lettura della propria opera l'ha fornita lui stesso, parlando della sua attività di meditazione: esplorare ciò che viene dal profondo, riconoscere che sotto la superficie tumultuosa del mare in tempesta vi è la quiete. Il bene e il male, in Lynch come in Stanley Kubrick, sono categorie esistenti: se però nel caso di Kubrick si tratta di potenzialità umane, inserite nel discorso nicciano di transvalutazione dei valori, in Lynch costituiscono piuttosto forze cosmiche e psichiche, che lungi dal contrapporsi si seducono in una sorta di danza perversa e sensuale. La storia di Lynch è quella di un artigiano della cinematografia dotato di un senso dell'umorismo indescrivibile, che con estrema serenità porta lo spettatore nell'abisso dove bene e male si compenetrano.
Velluto blu, geniale reinvenzione del genere noir, è un punto di svolta nella carriera del regista di Missoula proprio perché per primo rende chiara la suddetta poetica:
nell'immagine ambigua di Isabella Rossellini, madre e cantante da night, sessualmente subalterna a Frank ma provocatrice e dominante con Jeffrey, è sintetizzata quella compenetrazione di desiderio e paura, sublime e orrore, che sarà poi alla base dell'universo narrativo di Twin Peaks (1990-91 e 2017). Molti altri sono in realtà gli elementi di connessione fra i due progetti: l'ambientazione in una cittadina periferica apparentemente placida ma pregna di perversione (meglio: in cui pace e perversione convivono), l'utilizzo simbolico di certi cromatismi, l'allegoria esplicita del pettirosso come elemento di bontà e soprattutto il sistema di personaggi. In un mondo di giovani di famiglia dalla doppia vita, Kyle MacLachlan interpreta in entrambi un individuo fondamentalmente buono ma attratto dall'ignoto e destinato a scoprire le «acque profonde» dell'esistenza: se per l'agente Cooper la chiave è Laura Palmer, per Jeffrey è la misteriosa cantante Dorothy, eterna reduce dal mondo nascosto (come l'omonima protagonista di un classico che Lynch ha spesso citato, Il mago di Oz del 1939). Sarebbero da esplorare, in aggiunta, tutte le possibili letture freudiane e psicanalitiche delle due opere: la Loggia Nera di Twin Peaks, come l'orecchio di Velluto blu ma anche il club Silencio di Mulholland Drive (2001), sono la connessione fra conscio e subconscio, dove verità rimosse e fantasmi della mente si incontrano.
La sceneggiatura, si è anticipato, riprende classiche trame mistery arricchendole di simboli, elegante languore ed estrema violenza. Per quanto la storia sia piuttosto lineare (cristallina, se confrontata alla più recente produzione di Lynch), la ragnatela di circolarità e riferimenti interni è estremamente ricca e calibrata: le scene oniriche fungono da anticipazione di ciò che verrà in seguito, mentre le (splendide) sequenze di canto, sospendendo lo sviluppo degli eventi, immettono lo spettatore in una condizione a metà fra l'incredulità e il gioco finzionale, denudando il meccanismo stesso del cinema come arte che, per citare Slavoj Zizek, è perversa in quanto non solo dice cosa desiderare, ma come. Da sottolineare poi, come esempio della celebre ironia lynchana, il personaggio che la madre del protagonista vede in televisione e che anticipa i movimenti stessi di Jeffrey, in un continuo gioco di specchi e ribaltamenti della morale. Quanto alla regia, elegante ma all'occorrenza concitata, si sottolinea il movimento di macchina iniziale che sommerge man mano lo sguardo dello spettatore nel prato in cui è nascosto l'orecchio mozzato: nuovamente, una resa cinematica della suddetta discesa sotto la superficie.
A conferire al film quella tonalità cromatica ed emotiva che lo distingue è però la fotografia di Frederick Elmes (Paterson, 2016; I morti non muoiono, 2019). Se il noir classico era facilitato nel creare forti contrasti simbolici grazie al bianco e nero, qui l'idea di ricorrere alle sovrapposizioni fra blu e rosso, colori distinguibili ed estremamente pregni di significati allegorici, danno vita alla vera messa in scena visiva di sfumature di desiderio e mistero. Velluto blu, prima ancora che il titolo dell'iconica canzone, è una sinestesia riguardante proprio il piacere dei sensi: visivo, uditivo, tattile. In tale direzione vanno anche il montaggio di Duwayne Dunham, con lente e oniriche dissolvenze incrociate, e le scenografie di Patricia Norris (Scarface, 1986), sempre sospese fra simbologia e realismo magico.
Oltre alla già citata title track, la colonna sonora di Angelo Badalamenti, che proprio con questo film inizia la sua collaborazione trentennale con Lynch, completa e pervade l'atmosfera di inquieta sensualità. Quanto alle quattro interpretazioni principali, per un felice connubio fra bravura degli attori e interesse della scrittura, il livello è alto: assieme a MacLachlan e Rossellini spiccano infatti Laura Dern e soprattutto Dennis Hopper, in un ruolo sconvolgente e difficilmente dimenticabile. Velluto blu è davvero, per certi versi, un film in cui ogni elemento ha la propria ragione d'essere e la sua forza espressiva: chiave di volta della maturazione artistica di Lynch e del cinema americano stesso, qualcuno lo potrebbe leggere come ponte fra il brivido di Alfred Hitchcock (La donna che visse due volte, 1958) e la provincia violenta dei fratelli Coen (Non è un paese per vecchi, 2007). Tuttavia, più che semplice ponte, Velluto blu è a se stante, capace di incarnare le due caratteristiche essenziali del cinema – il verosimile e l'onirico – in un unico oggetto che, a distanza di decenni, non ha ancora perso la propria potenza.
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