Nella New York degli anni Sessanta, Maria e Tony si incontrano e si innamorano, ma il loro amore non avrà vita facile in quanto entrambi provengono da due bande in violenta competizione.
Nella New York degli anni Sessanta, Maria e Tony si incontrano e si innamorano, ma il loro amore non avrà vita facile in quanto entrambi provengono da due bande in violenta competizione.
Per parlare di questo film è necessario partire dal teatro. Precisamente, dal testo di un certo William Shakespeare, risalente alla fine del ‘500. Romeo e Giulietta è a torto considerata la storia d'amore più celebre della letteratura: a torto, perché sarebbe meglio definirla una storia d'amore in tempi di guerra.
Ancora più che la passione impossibile dei due giovani, infatti, è il contrasto sanguinario fra Capuleti e Montecchi il vero motore della narrazione. È forse questo elemento ad avere reso eterna la tragedia.
Tuttavia anche le opere eterne hanno bisogno di, o forse esistono apposta per, essere aggiornate e riadattate. Così, negli anni '50 del secolo scorso, due librettisti di Broadway, Arthur Laurents e Stephen Sondheim, decidono di trasporre la vicenda nell'Upper West Side di New York. Al posto delle due famiglie veronesi, ci sono due gang di giovani, rispettivamente bianchi e immigrati da Puerto Rico.
Le musiche sono affidate a uno dei più celebri compositori del Novecento, Leonard Bernstein, e le coreografie a Jerome Robbins. Il musical, ovviamente è un vero trionfo. Tanto da indurre Robbins, alla sua unica esperienza cinematografica, a collaborare con il regista Robert Wise (Tutti insieme appassionatamente, 1966; Star Trek, 1979) per portarlo sul grande schermo.
Non è un'impresa facile: il cinema ha ritmi diversi dalle opulente opere musicate per teatro e la macchina da presa dovrebbe avere il suo bel da fare a seguire i ballerini; il teatro è unità di spazio, il cinema è montaggio di più location. Eppure, il film che ne esce nel 1961 è fra i più grandi musical di sempre.
Dieci Oscar vinti che coprono tutti gli ambiti della produzione, da miglior film a miglior attori non protagonisti, passando per regia, fotografia, sonoro e scenografia, e un'eredità culturale infinita.
Basti pensare a un altro storico musical, Grease (1978) di Randal Kleiser, che non fa altro che ricalcarne la struttura; o al più recente dei grandi musical, La la land (2016) di Damien Chazelle, che lo cita a più riprese, in particolare i costumi di Irene Sharaff (Bellezze al bagno, 1944; Bulli e pupe, 1955).
La distinzione tra i le due bande rivali è data anche da una sapiente distinzione nei colori dei costumi (nella scena del ballo gli Shark indossano in prevalenza rosso e viola, i Jets invece arancione, azzurro pastello e giallo e l'abito bianco per Maria) e tra le musiche utilizzate per caratterizzare i temi: musiche jazz per i portoricani e musiche classiche per i Jets, con alcune eccezioni, come nel caso di Maria, che le viene assegnato un tema classico per sottolineare l'eleganza e la purezza del ruolo. I personaggi si muovono perfettamente in armonia nello spazio cinematografico e perfino una volta che la musica cessa e la coreografia si interrompe, continuano a muoversi con leggiadria, punte dei piedi tirati e testa alta, come se fossero continuamente in una scena coreografata, anche durante le risse.
Il film è innanzitutto un ottimo esempio di adattamento riuscito. Le coreografie sono nobilitate dai piani sequenza, mentre i numerosi colori accesi dei vestiti e la fotografia di Daniel Fapp (All'ombra del patibolo, 1955; Uno, due, tre!, 1966) riportano all'origine teatrale.
Così come il celebre prologo, così poco cinematografico eppure perfetto e sperimentale, affidata alle musiche di overture di Bernstein e alla grafica di Saul Bass, autore fra l'altro dei titoli di testa iconici de La donna che visse due volte (1958) di Alfred Hitchcock.
Il montaggio, soprattutto considerando i tempi, è ottimo, sincronizzandosi perfettamente con le musiche e le coreografie, trasformandosi anch'esso in un fluido movimento di transizioni.
In secondo luogo, per appartenere al genere di evasione e intrattenimento per antonomasia, è un film coraggioso: come nel libretto, un musical che finisce in modo tragico e che mette al centro tematiche di convivenza multietnica nel melting pot newyorkese. Lo fa in piena era Kennedy, quando negli Stati Uniti soffiava una brezza di apertura condivisa che di lì a poco sarebbe sfociata da un lato nel sangue Vietnam e in Nixon, dall'altro nei movimenti hippy e, cinematograficamente parlando, nella New Hollywood. Non è poco, per un prodotto in grande stile, pensato essenzialmente per un pubblico ampio e di consumo.
West Side Story si rivela estremamente innovativo anche dal punto di vista della sotto narrazione dei problemi sociali: senza perbenismi, e dialoghi e scene non forzate, che non sfociano nel melodramma. Insegnando molto anche ai film “sociali” di ultima generazione.
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