Diana scopre che un antico manufatto chiamato la "Pietra dei sogni", in grado di esaudire i desideri di chi la possiede, è finito nelle mani sbagliate.
Diana scopre che un antico manufatto chiamato la "Pietra dei sogni", in grado di esaudire i desideri di chi la possiede, è finito nelle mani sbagliate.
A tre anni di distanza, Patty Jenkins (Monster, 2003; Wonder Woman, 2017) torna a narrare le gesta di Diana Prince, la supereroina del DC Extended Universe. Dall'ambientazione cupa e spiacevole della Prima guerra mondiale, la Jenkins ci teletrasporta negli anni ‘80, periodo dell'edonismo e del pensiero positivo per eccellenza. Il richiamo agli anni ‘80, però, si ha solo nel titolo del film perché, per tutta la durata della pellicola, i riferimenti a tale periodo sono quasi inesistenti, ad eccezione dei marsupi e i centri commerciali. Il film poteva essere ambientato negli anni ‘60 così come ai giorni nostri: il risultato non sarebbe cambiato. Anche la fotografia di Matthew Jensen, completamente sballata nella calibrazione dei colori, e la scenografia non aiutano alla contestualizzazione storica. Neanche Steve Trevor sembra accorgersi del cambiamento temporale, poiché, dopo essere stato morto per settant'anni e risorto da poco più di un giorno, manovra un jet contemporaneo con la stessa naturalezza di quando era un pilota militare della Prima guerra mondiale. Il film presenta numerosissimi buchi di trama, rendendo la sceneggiatura ancora più traballante di quanto non fosse già.
La prima scena, ambientata a Themyscira, è completamente inutile e allunga il brodo di un film già troppo lungo di suo, che serve solo a ribadire un concetto presente in tutto il film, quello della verità. Per di più, se fosse servita a far capire quanto Wonder Woman sia dedita alla verità, non avrebbe senso il fatto che lei ignori completamente l'effettiva funzionalità della “Pietra dei sogni”, con la quale ha riportato in vita Steve. Rivede il suo amante defunto dopo settant'anni senza farsi nessun tipo di domanda. Questa situazione viene presa con troppa leggerezza, soprattutto per un personaggio che ha a cuore, oltre alla verità, anche la sicurezza del mondo.
Per metà del film Diana non fa altro che pensare al suo amante, in una sequela di scene che non aggiunge nulla al loro rapporto, rendendo le suddette monotone e vuote.
Oltre ai due amanti, anche gli antagonisti del film, mossi da motivazioni futili e banali come la rivalsa personale e la fame di potere, risultano vuoti e bidimensionali. La costruzione del personaggio di Max gira intorno alla Pietra dei Sogni della quale non si capiscono gli effettivi poteri. Inizialmente sembra esaudire i desideri subconsci di chi ne entra in possesso; in seconda battuta, è in grado di esaudire un qualsiasi desiderio richiesto verbalmente, come la lampada magica di Aladdin (Guy Ritchie, 2019); successivamente permette a Max di controllare la mente di altre persone, caratteristica mai esposta durante il film. Infine Max, che ha sempre esaudito i desideri degli altri con la condizione necessaria del contatto fisico con essi, sceglie di accontentare l'umanità via satellite, smentendo anche quest'ultimo vincolo.
Narrativamente parlando, il climax del film si svolge nella cabina satellitare dalla quale Max sta esaudendo i desideri di tutti i cittadini del mondo. Dopo aver combattuto con Barbara in uno scontro realizzato con una CGI terribile, molto più scadente rispetto al primo film della saga, Diana risolve il problema della Pietra dei Sogni in una maniera molto macchinosa e poco credibile: anziché uccidere Max, annullando automaticamente tutte le sue azioni, preferisce utilizzare il Lazo della Verità per comunicare con il mondo intero, nella speranza di convincere le persone ad abbandonare i propri desideri. Oltre alla banalità disarmante del suo messaggio all'umanità, sorprende che tutti rinuncino ai propri desideri, come se nel mondo non esistessero avari, egoisti o, semplicemente, bisognosi che necessitano di un sostegno finanziario. La banalità dei contenuti e della sceneggiatura non favorisce neanche la recitazione degli attori principali: Gal Gadot, esattamente come nel primo film, e Chris Pine sono inespressivi in tutto ciò che fanno; Kristen Wiig e Pedro Pascal, nonostante siano un po' più stimolati, appaiono troppo caricaturali.
In linea di massima, il film si rivela un fallimento totale, anche dal punto di vista prettamente visivo: l'eccessivo utilizzo dello slow motion, la CGI mediocre e una regia per nulla ispirata, rendono il film debole anche secondo quest'ottica. Wonder Woman 1984, che fa inutilmente riferimento al libro di George Orwell, ha come unico pregio quello della colonna sonora, che non è fra le migliori di Hans Zimmer (Il gladiatore, 2000; Inception, 2010; Blade Runner 2049, 2017), ma quantomeno riesce a sorreggere alcune scene.
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