Durante una missione, Jean Grey assorbe una misteriosa forza cosmica che sembra aver amplificato i suoi poteri.
Durante una missione, Jean Grey assorbe una misteriosa forza cosmica che sembra aver amplificato i suoi poteri.
Dodicesimo film della saga dedicata ai mutanti Marvel, X Men: Dark Phoenix doveva essere quello che Avengers: Endgame era stato per la mcu: un dolce amaro addio ai personaggi legati alla narrazione cinematografica dei mutanti, ma ciò che risulta è invece un tentativo frettoloso di chiudere una saga che, grazie all'acquisizione dei diritti da parte della Disney, riceverà, presto o tardi, un reboot.
Tutto il capitolo dedicato a Jean Grey, si può riassumere con la giovane ragazza che, invece che affrontare il suo dolore, la sua rabbia e il suo potere, come ci si aspetterebbe da un'allieva di lunga data del Professor Xavier, decide di andare a piangere prima da suo padre, poi da Magneto e infine da Vuk; la crescita del personaggio, e il rispettivo controllo dei suoi poteri, avviene in circa quattro secondi, così come il super duello finale con il super cattivo di turno, che per altro, durante la narrazione ci si interroga spesso su chi sia effettivamente il vero cattivo.
La sceneggiatura è il vero problema della pellicola: storyline affrettata, personaggi con nessun spessore emotivo o crescita personale (fatta mezza eccezione per la Bestia) e collocamento temporale altrettanto confuso.
C'è anche da chiedersi: “ma gli x-men dove sono?”. La squadra, composta da Mystica, Jean, Bestia, Ciclope, Tempesta, Nightcrawler e Quicksilver, ha solo una scena insieme, per tutto il resto della narrazione Mystica muore, Bestia piange, Ciclope (per giunta primo amore di Jean) diventa inutile, Nightcrawler fa il suo compito, Tempesta fa due fulmini e Quicksilver sparisce.
Ma seriamente, dov'era Quicksilver? Qualche scena in più del suo personaggio avrebbe potuto aumentare il livello del film, sia a livello di scene di combattimento, che a livello di simpatia.
Grande punto di domanda anche su gli storici e amatissimi Professor X e Magneto; il primo rimane convinto delle sue scelte (sbagliate) e Magneto invece, prima è contento di essere diventato un hippie, poi ritorna cattivo, poi vede Charles, gli fa gli occhi a cuoricino, decide di aiutare – ancora – gli x-men, e poi raggiunge Charles a Parigi per fargli di nuovo gli occhi a cuoricino e giocare a scacchi.
Sophie Turner, come tutti gli attori nel film, fa un buon lavoro nei panni della fenice nera, ma è ovviamente il suo personaggio a risentire di più della pessima scrittura della sceneggiatura; così come Jessica Chaistain, che riesce a donare al suo personaggio un fascino malefico, rimane sospesa su un villan decisamente frettoloso e con le idee poco chiare. Si sarebbe potuto giocare di più con la dinamica tra Jean e Vuk e sulla questione del controllo emotivo e potenziale, che avrebbe dovuto essere alla base del film.
Eliminata la sceneggiatura, tutta la parte tecnica del film funziona, e funziona anche bene.
La CGI è a livelli altissimi e la realizzazione dei mutanti, primi fra tutti Bestia e Mystica, è quella meglio riuscita del franchise. Nel corso della pellicola ci vengono regalate scene esteticamente piacevoli come il viaggio che fanno Charles, Raven e Hank nella mente di Jean, le scene nello spazio e la rappresentazione della forza cosmica, sia allo stato brado, che quando si manifesta in Jean.
È doveroso inoltre sottolineare che avere un buon personaggio femminile come protagonista è possibile, sarebbe bastato un maggior impegno nella scrittura e caratterizzazione sia di Jean, che di Vuk, e che la frase di Raven: “Siamo sempre noi donne a salvare gli uomini. Dovremmo chiamarci X-Women” non è un incitamento al Girl Power; un approfondimento di come Jean è riuscita a controllare il suo potere grazie alle sue emozioni e al suo dolore lo sarebbe stato. Tutti abbiamo visto la scena iniziale, tutti abbiamo visto Harry Potter, Alien e tantissimi altri film, lo sappiamo benissimo che le donne sono forti, indipendenti e che molto spesso sono proprio loro a salvare il mondo, ma una frase del genere, nel 2019, provoca esattamente l'idea opposta.
Sarebbe quindi il caso di iniziare ad assumere sceneggiatori, e sceneggiatrici, capaci e volonterosi di scrivere personaggi femminili che non abbiano bisogno di una frase per sottolineare la loro emancipazione.
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