Un modello particolarmente stupido viene coinvolto, a sua insaputa, in un piano di attentato politico ordito dalla misteriosa mafia della moda.
Un modello particolarmente stupido viene coinvolto, a sua insaputa, in un piano di attentato politico ordito dalla misteriosa mafia della moda.
Zoolander è probabilmente il film più noto del gruppo comico Frat Pack (Anchorman, 2004; Una notte al museo, 2006), di cui fanno parte i tre attori principali. Segnato, al momento dell'uscita, dalla sfortunata contingenza dell'attentato alle Torri Gemelle, diventa solo successivamente un piccolo cult del nuovo millennio grazie al mercato home video. Vero e proprio rappresentante della comicità demenziale americana, il film riesce tuttavia a regalare svariati momenti di satira politica e di costume e a giocare in modo intelligente con gli stereotipi.
La sceneggiatura, dell'attore protagonista Ben Stiller (Tropic Thunder, 2008; I sogni segreti di Walter Mitty, 2013) assieme a Drake Shater e John Hamburg (trilogia di Ti presento i miei, 2000-2010), fa infatti un uso intelligente ed efficace degli stereotipi riguardanti modelli, alta moda, industria e neo-capitalismo. Se, alle volte, le trovate o le descrizioni sembrano palesemente esagerate e superficiali, nella maggior parte dei casi riescono a sortire l'effetto comico voluto. L'umorismo, come nel dittico di Anchorman (2008-2013), prende avvio dalla critica ironica a un ambiente professionale privilegiato e, dal punto di vista del capitale simbolico, sopravvalutato, per poi regalare una sequela di gag più o meno riuscite che hanno fine solo coi titoli di coda. Il pregio di questo tipo di umorismo rappresenta, tuttavia, anche il suo limite: alcuni punti di svolta hanno l'apparenza di deus ex machina pretestuosi, la sospensione della credibilità risulta ardua e buona parte dei personaggi non si solleva dal ruolo di macchietta. Ciò non toglie che, per quanto assurde, alcune scene siano effettivamente geniali: su tutte, l'incidente alle pompe di benzina e la competizione di sfilata sotto gli occhi di David Bowie. Come si dice, il troppo stroppia e, con una sovrabbondanza di scene comiche senza distacco, il tono del film rischia di diventare monocorde. Lodevole, tuttavia, il tentativo riuscito di satira feroce filtrata dagli stilemi della farsa.
Stessa caratteristica a doppio taglio presenta la regia, sempre di Ben Stiller: unita a un montaggio a volte troppo frenetico (di Greg Hayden, collaboratore abituale del suddetto), regala così tanti momenti comici e iconici da mettere in crisi lo spettatore. Il quale, per eccesso di divertimento, ha come l'impressione di aver consumato tutto il potenziale del film già dopo la prima mezz'ora. Sul lato tecnico, si segnalano le ottime scenografie e i costumi di Stephen Alesh, sempre in bilico fra l'iperrealismo postmoderno e la parodia dei generi cinematografici. Così anche il montaggio audio, che gestisce alla perfezione i momenti di stacco e di transizione fra i numerosi pezzi pop e le musiche originali di David Arnold (Casinò royale, 2006; Quantum of solance, 2008).
In definitiva, il film risulta molto più compatto sul lato estetico e visivo che sul lato narrativo.
La vera forza però risiede nelle interpretazioni. Se il Rat pack ha fra i propri esponenti attori non certo noti per la gamma di espressioni e registri (Will Ferrell su tutti), la coppia Stiller/Wilson si dimostra sempre efficace. Laddove tuttavia il secondo non sembra capace di uscire dal proprio tracciato sicuro, il primo si dimostra un vero e proprio artista della comicità a 360 gradi, forse troppo spesso sottovalutato. A impreziosire il tutto, una carrellata di personaggi noti della cultura pop che, a voler ribadire lo stile comico sovrabbondante, postmoderno e scanzonato, interpretano se stessi come ingranaggi del sistema divistico su cui si fa ironia: a titolo d'esempio, si segnalano l'allora imprenditore Donald Trump, noto negli Stati Uniti per le comparsate in numerosi film dove interpreta se stesso, famoso per il solo fatto di essere famoso, e un elegante David Bowie che sa prendersi gioco del proprio essere un'icona di stile.
Capostipite e massimo esponente di un filone che ha dato frutti quasi sempre più scadenti, Zoolander non vuole essere una fine satira intellettuale ma puro intrattenimento all'americana. I limiti dell'operazione sono evidenti, ma non hanno impedito al film di raggiungere buona parte dei propri obiettivi e di aver ottenuto un posto di rilievo nel panorama comico degli ultimi vent'anni.
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